La persona afflitta da un DOC soffre dei suoi stessi pensieri.

Capire per prevenire

informarsi sui disturbi aiuta a prevenirli e curarli

La persona afflitta da un DOC soffre dei suoi stessi pensieri. Si rende conto di non esserne padrona (ma nessuno domina il suo pensiero): ritiene che i pensieri sgradevoli abbiano un alto rischio di avverarsi. Siccome ha un senso morale molto forte, questo “rischio” lo tormenta, e quindi farà quello che può per evitarlo. Combatterà quindi contro i propri pensieri.

A fondamento del DOC c’è dunque una grande sensibilità etica, con un sentimento di responsabilità esagerato, una difficoltà a rendersi conto che il pensiero è ben diverso dell’azione, e una presenza continua di sentimenti di colpa, di schifo, assieme ad un grande bisogno di ordine, controllo e completezza.

Le azioni (chiamate compulsioni, o rituali) servono a evitare di incontrare situazioni che possono stimolare i pensieri temuti, oppure servono ad annullare i pericoli. In tal modo il soggetto si sente più calmo: almeno per quella volta, i danni temuti, e le responsabilità che ne derivano, sono stati evitati. In realtà, si tratta di un rituale magico individuale (diverso dalla magia condivisa da chi ci crede).

Il soggetto DOC sa benissimo che quello che teme è sbagliato, e non corrisponde a quanto altre persone pensano. Ma soffre di un senso di responsabilità esagerato, ed anche un rischio rarissimo, con una probabilità in pratica inesistente, è come se fosse dietro la porta. Richiede infatti una certezza totale, che, evidentemente, nella vita reale non esiste. E non bada al fatto che le persone dotate di coscienza morale hanno tutte quante un sentimento di sgradevolezza di fronte a pensieri importuni. Ma non per questo ne hanno paura, perché sanno che, se poi un giorno succedesse un problema, hanno sufficiente senso di responsabilità per farvi fronte.

Il soggetto DOC, spesso, non si rende bene conto che, quanto più cede all’ossessione, tanto più intensa essa diventerà. A volte ricorre all’aiuto dei familiari, facendo fare a loro i rituali necessari, oppure estenuandoli con domande in cui chiede di essere tranquillizzato.

Molte famiglie non si rendono conto che cedere a questi comportamenti permette un migliore radicamento del DOC. Nella misura in cui i rituali invadono la vita del paziente, scompare il tempo a disposizione della famiglia, del lavoro, della vita sociale, del divertimento. Diventerà sempre più lento, perennemente preso da “compiti” inutili e “strani”. Chi li vede li considera esagerati, eccessivi, dispendiosi nel tempo e nell’energia. Ed infatti, chi soffre di DOC, alla sera è sfinito, anche se, obiettivamente, spesso non ha eseguito che rituali tipicamente DOC.

Diversi aspetti del disturbo ossessivo compulsivo

il disturbo DOC può manifestarsi in diverse modalità

Le ossessioni sono manifestazioni psicologiche molto generali. Chi non ha mai avuto il dubbio di non avere spento le luci di casa (pur ricordandosi di averle spente, ma senza una certezza “granitica” di averle spente), e non è tornato a controllare? Il DOC è qualcosa del genere, ma assume un carattere pervasivo nella persona, esclusivo nelle preoccupazioni di quella persona, e intrusivo nella vita della sua famiglia. l DOC non è uno solo. Ci sono “tematiche” differenti, che descriveremo brevemente di seguito. Perlopiù, non esiste un tipo di DOC puro. Alcuni hanno avuto uno o più tipi di DOC, successivamente, nel tempo. Altri hanno un DOC “principale”, e DOC “secondari”. Altri ancora soffrono di stati d’ansia, o di fobie, o di insonnie, o di depressioni, che accompagnano il DOC.

Il DOC ha un fondamento familiare e organico. Non viene ereditato, ma la possibilità di svilupparne uno ha una presenza familiare. Questa tendenza si chiama vulnerabilità. È probabile che questa vulnerabilità abbia a che fare con la vulnerabilità per la depressione, e quella per le dipendenze.

Chi soffre di DOC ritiene che ognuno dovrebbe essere il padrone dei propri pensieri. Inoltre, ritiene che “pensare” sia un po’ “fare”. Ora, è una visione irrealistica, quasi “magica”. Nessuno è padrone dei propri pensieri. Ed è vero che ci sono pensieri che possono essere fastidiosi per chiunque, se non a volte inquietanti. Se però cerchiamo di evitarli, non facciamo che renderceli più presenti e più prossimi. Se poi evitiamo le circostanze che essi ci propongono come pericolose, questi pensieri non faranno che aumentare di frequenza e di intensità. Ogni volta che avremo evitato una situazione soggettivamente difficile, avremo dimostrato a noi stessi di essere deboli. In tal modo, avremo sommato una sconfitta in più. E il disturbo si sarà ampliato. Comincia per lo più durante la primissima adolescenza. Ci sono anche forme che si presentano durante l’infanzia. In determinati casi, appare quasi di colpo, in un modo a volte drammatico. A volte si presenta in modo insidioso, a poco a poco. In alcuni casi, troviamo degli eventi traumatici infantili, di varia natura.

Nel corso della vita, il 2,5% della popolazione di un paese ne può soffrire. Nel corso di un anno, troviamo che ne soffre tra l’1,5 e il 2,1% della popolazione di un paese. Spesso non è l’unico tipo di disturbo ansioso di cui soffre. A scuola, alcuni bambini molto lenti, molto meticolosi e precisi, potrebbero avere problemi DOC iniziali, e non ancora messi a fuoco. Un tempo si pensava che il DOC fosse raro, e presente nelle persone anziane. In realtà, si trattava di un errore di osservazione dovuto alla scarsità di notizie sul DOC stesso, e sui pazienti che ne soffrono, e che cercano di non farsi vedere. (Dati desunti dal Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali – DSM-IV. Quarta edizione, 1995).

Chi soffre di un DOC si trova in una specie di gabbia psicologica e sociale. L’ossessione lo lega a rituali sempre più complessi, lunghi, e irrazionali. I rituali rubano tempo alla vita quotidiana, alla famiglia, al lavoro, alla vita sociale, ed al riposo. Chi soffre di DOC tende a coinvolgere i familiari nelle sue compulsioni: di lavaggio, di ordine, di controllo, ecc. Continua a chiedere se hanno capito o no, se il rituale è stato eseguito bene o no, e spesso il disturbo lo rende irritabile. È difficile aiutare nel modo giusto la persona che soffre di DOC, anche perché quest’ultimo ha un’altra concezione del come lo si possa aiutare nel modo “giusto”. La complicazione maggiore del DOC è la depressione. Perlopiù, curandola in modo efficace, ne trae giovamento anche il DOC.

In primo luogo, è utile parlarne con il proprio medico. Questi può allora fare eseguire degli esami per escludere la presenza di una malattia organica che abbia sintomi simili a quelli del DOC. Poi, il medico potrà inviare il suo paziente uno specialista di salute mentale, specialista di disturbi d’ansia. Il paziente DOC ha spesso un atteggiamento ambivalente (ossia: con speranza ma anche con timore), rispetto alla cura. Sa che è necessaria, ma teme di stare male se cercherà di liberarsi del DOC, disturbo di cui, comunque, si vergogna. La cura consiste nella psicoterapia e nei farmaci. Di solito, i soli farmaci sono efficaci solo in parte: riducono l’intensità del disturbo, ma non tolgono ossessioni e compulsioni). La riduzione dell’intensità facilita la psicoterapia.

La persona che soffre di DOC tende a nasconderlo, come se si trattasse di una “debolezza”, di cui vergognarsi. Spesso, infatti, è consapevole di una diminuzione della stima di sé. Pensa che se ne parlasse ad altri “lo giudicherebbero pazzo”. A volte, poi, “per sopravvivere” ha fatto compromessi con questo disturbo, ha trovato degli adattamenti, degli accomodamenti. In taluni di questi accomodamenti ha trovato anche una sorta di “vantaggio”, per esempio un’attenzione costante da parte dei suoi famigliari. È utile che, anzitutto, paziente e terapeuta si mettano d’accordo sulla natura del disturbo. Si tratta di capire come nasca e come si rafforzi. Questa fase d’informazione e di accordo si chiama “psicoeducazione”. Spesso anche i familiari traggono un vantaggio dalla psicoeducazione mirata al disturbo, perché li aiuta ad essere efficaci, e a evitare quelle misure di “aiuto” che in realtà non fanno che peggiorare la situazione. Si renderanno conto di essere di nuovo capaci di combattere contro il DOC. È una fase in cui si stabilisce un legame di fiducia con il terapeuta. Le persone che soffrono di DOC si rendono rapidamente conto se il terapeuta è davvero un specialista di problemi d’ansia, o se naviga nell’incertezza. Ma la terapia richiede un impegno importante. Quindi, una persona deve essere ben motivata a intraprenderla, altrimenti non ci mette del suo, per poi convincersi, a torto, che “non c’è niente da fare”. Di solito, una persona decide di percorrere la via della terapia e della guarigione “quando non ne può più”, ossia quando ha toccato il fondo. La nozione di “aver toccato il fondo” è una convinzione soggettiva, con una componente emotiva molto importante. Può essere un cambiamento desiderato nella sua vita (il matrimonio, la nascita di un figlio, una nuova professione, un trasloco, una vacanza, una vita più piena). Un tipo di psicoterapia chiamata terapia comportamentale cognitiva è particolarmente utile nella cura del DOC. È un metodo che aiuta il singolo a non temere più i suoi pensieri: possono magari essere fastidiosi, ma né corrispondono alla realtà, né rischiano di avverarsi. Bisogna imparare, dunque, a non spaventarsi dei propri pensieri. Uno dei pilastri della terapia è affrontare, non sfuggire ed evitare. In tal modo, la persona impara quello che ha sempre saputo, almeno in precedenza: i modi di pensare, di comportarsi, e di reagire alle situazioni che si incontrano, senza temerle, e senza dover compiere rituali senza scopo.

Nel caso del DOC, i farmaci sono quasi sempre necessari. La decisione se sì o se no, va presa con il terapeuta. Va detto che molte persone “sono contrarie” ad una farmacoterapia. In realtà, vanno calcolati non solo gli inconvenienti della prescrizione dei farmaci, ma anche i vantaggi che ne possono derivare. Non c’è ragione di precludersi una possibilità di riuscita per un’ipotesi poco probabile. La cosa singolare è che molte persone, per “farsi forza” e per superare l’ansia, “si curano” con sostanze ben più pericolose, come l’alcol, gli anti-dolorifici, o magari la canapa. Va ricordato che i farmaci rafforzano gli aspetti terapeutici della psico-terapia. I farmaci più comunemente prescritti sono i farmaci antidepressivi. Gli antidepressivi sono usati per curare le depressioni, ma si sono rivelati utili anche nella fobia sociale. I primi risultati li si vedono solo alcune settimane dopo l’inizio della cura, non subito.

A volte provocano effetti collaterali, come mali di testa, nausea, o difficoltà di sonno. Perlopiù questi effetti collaterali sono facilmente tollerati, perché diminuiscono con il tempo, e possono essere ridotti se si comincia con dosi minime, da aumentare lentamente. Se si notano effetti collaterali, è necessario parlarne subito con il proprio medico. È importante sapere che, per quanto gli antidepressivi siano sicuri, in determinati casi, richiedono attenzione se usati per bambini, adolescenti e giovani adulti. In particolare, siccome fanno aumentare l’attivazione, possono stimolare idee suicidali, nelle persone che le covano. Chi prende antidepressivi dev’essere monitorato da vicino, specialmente all’inizio della cura.

A volte gli antidepressivi serotoninergici non bastano. Allora si possono aggiungere dosi molto lievi di neurolettici del nuovo tipo, specialmente quando li possiamo dosare molto lievemente grazie alla esistenza di una preparazione sotto forma di gocce.

Un disturbo dalle tante facce

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La persona che ne soffre ha il pensiero (l’ossessione) di poter diventare pericoloso per altri, per non avere prestato sufficiente attenzione alla “pulizia”. Potrebbe quindi provocare una contaminazione a sé o ad altri (AIDS, TBC, sifilide, encefalopatia bovina, ecc.). Per liberarsi dall’ansia, praticherà rituali (compulsioni) di pulizia, lavatura, disinfezione: docce eccessive, lavaggio delle mani esagerato, bucati con consumo inadeguato di detersivo e di acqua, che poi si ripetono inutilmente, alla fine in casa non entra più niente e nessuno.

La persona che ne soffre ha il pensiero (l’ossessione) di poter compiere degli errori e delle imprecisioni nelle sue attività (scrivere una lettera, preparare un elenco, riempire un questionario ecc.). Per liberarsi dall’ansia, praticherà rituali di controllo ripetuti molte volte, e prolungati. In certi casi, se ha spedito una lettera, può presentarsi all’ufficio postale per recuperarla. Ha spesso paura di non essersi espresso bene, o compiutamente. Allora deve ripetere la domanda o l’osservazione fatta.

La persona che ne soffre ha il pensiero (l’ossessione) di poter compiere degli atti sessuali inadeguati (toccamenti, omo o eterosessuali, eventualmente rivolti a minorenni), contro la propria volontà, per via di un ipotetico “raptus”. O ha dei dubbi di averlo magari fatto, ma di non ricordarsene, perché può avere avuto un ipotetico blackout di memoria. Per liberarsi dall’ansia, praticherà rituali di controllo: manterrà le distanze, evitando sistematicamente le occasioni di incontrare una donna (o un uomo, o un ragazzo). Controllerà nei giornali se c’è stata una denuncia per atti sessuali illeciti. Chiederà di essere rassicurato. Di solito, l’evitamento diventa sempre più articolato, e questa persona avrà, infine, grandi difficoltà ad uscire di casa.

La persona che ne soffre ha il pensiero (l’ossessione) di poter compiere degli atti aggressivi (p.es. un pugno) verso chi incontra. Avverrebbe contro la propria volontà, per via di un “raptus”. O magari si immaginerà che è possibile farlo, ma che se ne è dimenticato. Può anche immaginare di avere (magari) investito qualcuno, mentre guidava l’automobile, e di non essersene accorto. Per liberarsi dall’ansia, praticherà rituali in cui cerca di mantenere le distanze, ed eviterà sistematicamente le occasioni di incontrare altre persone. Oppure ripercorrerà il tragitto fatto, per verificare se ci sono vittime, o se la polizia è presente. Di solito, l’evitamento diventa sempre più articolato, e questa persona avrà, poi, importanti difficoltà ad uscire di casa.

 La persona che ne soffre ha il pensiero (l’ossessione) che gli oggetti che trova per strada, o che sono entrate in casa sua (fogli di reclame, cartoni vuoti di latte, giornali vecchi, ecc.) potrebbero essergli utili un qualche momento. Non riesce, quindi, a sbarazzarsene. La persona che ne soffre ha il pensiero (l’ossessione) che le cose che pensa siano di centrale importanza. Non se ne serve: ma si limita a conservarle in un’attesa ipotetica del momento in cui venissero buoni. Li sente propri, indispensabili, vi si sente affezionato. L’evitamento riguarda, appunto, il fatto di non liberarsene, come sarebbe ragionevole. Nell’appartamento di queste persone, spesso, non si può entrare, e ci si dirige secondo “sentieri” tenui e mal definiti, tra quintali di detriti, spesso imputriditi. Mobili, oggetti di utilità indiscussa, telefono, televisione, ecc. si trovano sepolti sotto questa quantità di materiale inutile.

La ruminazione è un fenomeno del pensiero. Chi ne soffre, di fronte a una difficoltà, a un problema (di solito, specifico di un’area, non qualunque pensiero) comincia a riflettere sul come risolverlo. Fa passare tutti i pro e i contro, ed alla fine conclude il suo ragionamento. A quel momento, sorge un pensiero ossessivo: “Ho riflettuto davvero su tutti gli elementi del problema? Se così non fosse, avrei fatto un errore, e le conseguenze (di cui elabora la lista) sarebbero disastrose”. Allora riprende il problema dall’inizio (sono il rituale o compulsione). Naturalmente, nessuno riesce a considerare tutti gli elementi di un problema. Quindi troverà sempre qualcosa che aveva trascurato. La questione è che nella ruminazione il soggetto non ha una scala che misuri l’importanza del tema. Appare dunque chiaro che la ruminazione tende a estendersi nei temi, e a prolungarsi nel tempo.

La persona che ne soffre ha il pensiero (l’ossessione) di poter compiere degli atti blasfemi (una bestemmia) verso Dio o i Santi. Avverrebbe contro la propria volontà, per via di un “raptus”. Può anche pensare di non essersi confessato con sufficiente chiarezza e completezza, commettendo così un grave peccato contro la religione. Per liberarsi dall’ansia (compulsione), praticherà rituali di preghiere, o di confessione mai sufficienti. Questo tipo di DOC lo troviamo anche in soggetti delle religioni attente a rituali di purificazione, o che distinguono tra cibi permessi e non permessi. Le cause Il DOC ha un fondamento familiare e organico. Non viene ereditato, ma la possibilità di svilupparne uno ha una presenza familiare. Questa tendenza si chiama vulnerabilità. È probabile che questa vulnerabilità abbia a che fare con la vulnerabilità per la depressione, e quella per le dipendenze.

I gruppi di auto-mutuo aiuto

SOLIDARIETÀ e AIUTO
I gruppi di persone che soffrono di DOC sono molto utili: accelerano il lavoro terapeutico, creano legami tra persone che hanno problemi in comune, e chi va avanti verso la guarigione diventa uno stimolo per chi lo segue su questa strada. I pazienti DOC sono però a volte imbarazzati dal loro disturbo, ed è difficile creare un gruppo che li comprenda. I gruppi con maggiore successo sono quelli composti dai loro famigliari: hanno spesso un grande bisogno di scambiarsi esperienze, vissuti, progetti, idee, paure, ma anche successi e risultati.