Attacchi di panico
con o senza agorafobia

Cosa accade?

informarsi sui disturbi aiuta a prevenirli e curarli

Il disturbo da attacchi di panico è caratterizzato da un attacco di panico iniziale, spesso improvviso, e del tutto inatteso.
Di solito, chi ne diventa vittima lo vive come una situazione caratterizzata da un grave pericolo di vita, perlopiù come se fosse un infarto, o una crisi cardiovascolare acuta.

È un’esperienza drammatica anche per chi vi assiste, per cui il soggetto viene spesso trasportato in ospedale da un’ambulanza. In ospedale, i medici constatano di solito uno stato di agitazione, senza alcuna alterazione particolare delle funzioni fisiche usuali. Questi attacchi si possono ripetere, e solo raramente si possono anticipare: spesso appare impossibile scovarne una regola di manifestazione (legata al tempo o alla situazione).
Per questa ragione il soggetto tende a evitare di allontanarsi di casa: un comportamento di evitamento che diventa il perno della situazione, e che limita l’individuo. Infatti, se cerca di allontanarsi, sente uno stato di paura, e teme che si ripresenti l’attacco di panico (agorafobia). Spesso questa difficoltà di allontanarsi di casa riguarda mezzi specifici (auto, treni, metropolitane, aerei), e comportano una grande ansia anticipatoria: se deve uscire di casa, viene tormentato dalla paura che possa succedere qualcosa.
Alcuni soggetti sviluppano delle paure intensissime degli attacchi di panico, ma non sviluppano un’agorafobia. Infine, al disturbo da attacchi di panico con o senza agorafobia si possono accomunare altri disturbi fobici (claustrofobia, fobia delle altezze, fobie singole, ecc.).

Diffusione: il 16-20% della popolazione soffre di disturbi d’ansia nel corso della propria vita.

Età di insorgenza: spesso i disturbi d’ansia si manifestano durante l’infanzia o l’adolescenza, al più tardi nella prima parte dell’età adulta.

Conoscere per prevenire

Sintomi e cura

Il disturbo da attacchi di panico può iniziare improvvisamente, senza una causa specifica riconoscibile, raramente dopo i 40 anni, raramente prima dei 20 anni.
Si tratta, spesso, di persone molto attive ed intraprendenti, che si caricano di lavoro e di responsabilità. Può colpire qualsiasi persona e non raramente troviamo persone molto attive ed intraprendenti, che si caricano di lavoro e di responsabilità.
Alcuni studiosi hanno ritenuto che l’attacco di panico sia il momento di “rottura” di un equilibrio che non funzionava ormai più, per averlo messo sotto troppa tensione. Quindi, l’attacco di panico si manifesterebbe come segnale di estremo allarme in una persona che avrebbe trascurato gli allarmi precedenti, meno intensi.
L’attacco di panico è vissuto come una catastrofe psicologica e fisica, mortale, che si potrebbe ripetere, senza poter prevedere né dove né quando. Il soggetto valuta questo pericolo, e cerca di mettersi al sicuro: evitando la possibilità di trovarsi da solo, fuori di casa, indifeso, di fronte a questo percolo. Nella misura in cui una persona rinuncia a fare, preferendo evitare, momentaneamente gli pare di stare meglio, ma ha anche incassato una ennesima sconfitta: se prima era difficile affrontare, dopo sarà ancora più difficile riuscirci a farlo. L’insorgere della paura dell’attacco, e la conseguente agorafobia (se c’è) è rapidissimo, come se fosse all’opera un apprendimento automatico non dirigibile. I soggetti stessi parlano della vita “prima” e della vita “dopo” l’attacco di panico.

L’attacco di panico è uno stato di ansia estremamente intenso, che insorge a volte molto in fretta, al punto da “sorprendere” il singolo. Dura dai venti minuti alle due ore, si può ripresentare a breve scadenza, persino di notte, durante il sonno, che poi interrompe.
Sul piano fisico, il soggetto riferisce di una sudorazione fredda, di una sensazione di soffocamento (mancanza d’aria), di un’accelerazione del ritmo cardiaco (“cuore in gola”), di dolori allo sterno, di formicolii alle gambe e alle braccia, di perdita dell’equilibrio, di diminuzione dell’acuità visiva e di quella uditiva.
Il soggetto sente salire uno stato di paura indicibile e soggettivamente ingovernabile.
Sente ridursi le sue capacità di pensiero critiche, e a queste sensazioni dà direttamente un significato terrificante e collegato con la morte. L’attacco termina piano piano, e lascia esausto il soggetto. Segno distintivo dell’agorafobia consiste in una grande paura ad allontanarsi da casa, vissuta come una fortezza protettiva, se non passando qualche via ben conosciuta, e possibilmente accompagnato. A volte, poi addirittura il solo pensiero di potersi allontanare diventa un generatore d’angoscia (ansia anticipatoria). Spesso chi ne soffre intellettualmente sa che si tratta di una paura, di un pensiero, ma cerca di razionalizzarla: non si sa mai, può capitare, è per prudenza, meglio prevenire che curare. Alcuni ricercatori hanno evidenziato un dato importante: l’agorafobia non è di per sé un’angoscia ad allontanarsi di casa. È piuttosto la paura di incappare in un attacco di panico in un ambiente vissuto come “non protetto”, che spinge una persona a non allontanarsi di casa.

La persona che soffre di disturbo da attacchi di panico con o senza agorafobia afferma di temere l’allontanamento da casa, in genere, oppure spostandosi con un mezzo specifico (auto, passeggiata, treno, ecc.). Di solito, se ne ha bisogno, si ritaglia dei percorsi più o meno obbligati e ben controllati, che ha percorso in precedenza, controllando se ci sono telefoni pubblici, farmacie, ospedali, medici generici o internisti cui ricorrere in caso di malore. Spesso esce, ma si fa accompagnare: non tutti i suoi familiari “vanno bene”. Spesso sono esclusi i bambini (non saprebbero che cosa fare), a volte, ma è raro, basta il cane (è una compagnia protettrice). Nella borsa o in tasca hanno quelle medicine che sanno che interrompono l’attacco di panico. Spesso temono affrontare incontri professionali od altro, la cui durata non dipenda da loro. A volte, si convince, o viene convinto, a non bere né tè né caffè, e, secondo alcuni, neppure la coca cola dovrebbe essere permessa. Fa quindi una vita isolata, senza momenti di socialità, in cui vive come se fosse un malato grave, a rischio di morte. Spesso questo disturbo incide negativamente anche sulle prestazioni lavorative del singolo. Si isola anche socialmente, perché rinunciare a possibilità di carriera, o ad amicizie anche significative. L’alcol può rappresentare un problema, nel senso che chi soffre di questo tipo di ansia si rende a volte conto che, se beve alcol prima della situazione che paventa, si sente più calmo.

È possibile che ci siano soggetti che abbiano una tendenza maggiore a sviluppare dell’ansia, ma, presi nel vortice della giornata e delle responsabilità, non se ne rendano conto. Colpisce la velocità con cui si costituisce e si rafforza la paura degli attacchi di panico (in forma di agorafobia, o in altro modo). Come se esistesse un rapido e radicale apprendimento di un evitamento sistematico. Ci sono anche fattori collegati a situazioni di vita: giocano un ruolo il perfezionismo, l’orgoglio del lavoro ben fatto, l’assunzione di molte responsabilità, e i momenti della vita di tensione e di difficoltà, in cui il soggetto tende a caricarsi di compiti, senza risparmiarsi.

Si calcola che, nel corso di un anno, tra il 1,5 e il 3,5% di una popolazione ne soffrirà. Nel corso di un anno, ne soffre tra l’uno e il due per cento della popolazione. Spesso non è l’unico tipo di disturbo ansioso di cui una persona soffre.

In primo luogo, è utile parlarne con il proprio medico. Questi può allora fare eseguire degli esami per escludere la presenza di una malattia fisica che abbia sintomi simili a quelli del disturbo da attacchi di panico con / senza agorafobia. Poi, il medico può discutere con la persona la segnalazione ad uno specialista di salute mentale, esperto di stati d’ansia. Questo disturbo è generalmente affrontato con psicoterapia, con farmaci, o con ambedue. Alcuni migliorano con la psicoterapia, mentre altre vanno meglio con i farmaci. Altri, invece, vanno meglio con una combinazione dei due. La scelta adeguata può essere fatta parlandone con il proprio medico.

La psicoterapia non è sempre facile da iniziare. La persona deve potersi recare dal terapeuta. Spesso sono persone che non ne possono più, spinti da una famiglia a volte disperata, a volte disillusa dai fallimenti terapeutici osservati. Insomma, sia la famiglia che la persona devono averne abbastanza di una situazione di vita che, se non viene interrotta, diventa sempre più intrusiva e invalidante.

 

È utile che, anzitutto, persona e terapeuta si mettano d’accordo sulla natura del disturbo. Si tratta di capire come nasca e come si rafforzi il disturbo. Questa fase si chiama “psicoeducazione”. Spesso anche i familiari traggono un grande vantaggio dalla psicoeducazione mirata allo studio del disturbo, perché li aiuta ad essere efficaci, e a evitare quelle misure di “aiuto” che, invece, non fanno che peggiorare la situazione. Se, invece, vedono dei risultati positivi, si sentono incoraggiati a proseguire nel loro impegno.

 

Nel frattempo, si stabilisce un legame di fiducia con il terapeuta. Spesso le persone che soffrono di disturbi d’ansia si rendono rapidamente conto se il terapeuta è davvero un specialista di problemi d’ansia. Ma la terapia richiede un impegno importante. Quindi, una persona deve essere ben motivata a intraprenderla, altrimenti non ci mette del suo, e poi si convincerà, a torto, che “non c’è niente da fare”. Un tipo di psicoterapia chiamato terapia comportamentale cognitiva è particolarmente utile nella cura del disturbo da attacchi di panico con o senza agorafobia. Nella terapia, ci sono almeno parecchi punti da affrontare, in questo tipo di disturbi: imparare una tecnica di rilassamento, che tenga conto di una metodica che faciliti la respirazione. Ma centrale appare il bisogno di riaffrontare gradualmente la paura di un attacco di panico: a volte, delle sensazioni corporee normali vengono interpretate come se fossero l’annuncio di un attacco di panico, mettendo in modo paura e comportamenti di evitamento (fuga, messa al riparo). La psicoterapia serve anche ad insegnare ad una persona modi diversi di pensare, di comportarsi, e di reagire alle situazioni che si incontrano, così che possa sentirsi meno ansiosa e spaventata. Può anche facilitare l’apprendimento di abitudini comportamentali sociali più adeguate. In tal modo, impara che l’ansia assomiglia ad un’abitudine, e che le (cattive) abitudini possono cambiare. Di solito, una persona decide di percorrere la via della presa in carico e della guarigione “quando non ne può più”, ossia quando ha toccato il fondo. La nozione di “aver toccato il fondo” è una convinzione soggettiva, con una componente emotiva molto importante. Può trattarsi di un cambiamento desiderato nella sua vita (matrimonio, nascita di un figlio), di una esigenza in cui uno si rispecchia (nuova professione, cambiamento), di un desiderio intenso e nutrito da tempo (vacanza, trasloco). In questo disturbo, conta anche l’atteggiamento della famiglia: se è troppo premurosa, se viene incontro a tutte le esigenze della persona con problemi, non l’aiuta a far fronte alle sue paure. Nel contempo, l’aiuto ad affrontare non può passare attraverso un atteggiamento sprezzante. I gruppi di auto-mutuo aiuto I gruppi di persone che soffrono di attacchi di panico sono molto utili: accelerano il lavoro terapeutico, creano legami tra persone che hanno problemi in comune, e chi va avanti verso la guarigione diventa uno stimolo per chi lo segue su questa strada. Si è dimostrato molto utile coinvolgere in questa attività di gruppo anche i familiari interessati ad un beneficio terapeutico.

L’utilizzo dei farmaci è discusso, almeno tra chi ne soffre. In realtà, nel caso del disturbo da attacchi di panico con o senza agorafobia, non sono sempre necessari. Sono però d’aiuto. La decisione se sì o se no, va presa con il terapeuta.

Molte persone “sono contrarie per principio”. In realtà, andrebbero presi in conto non solo gli inconvenienti della prescrizione dei farmaci, ma anche i vantaggi che possono portare. Perché precludersi possibilità interessanti? La cosa strana è che molte persone, per “farsi forza” e per superare l’ansia, “si curano” con sostanze con effetti ben più critici, come l’alcol, gli antidolorifici, o magari la canapa. Nel caso di ansia intensa e acuta, ossia per interrompere un attacco di panico, sono molto utili le compresse di ansiolitici a inizio di azione rapido, che si sciolgono in bocca. I farmaci più comunemente prescritti sono i farmaci ansiolitici e i farmaci antidepressivi.

I farmaci ansiolitici sono assai potenti, e appartengono a parecchie famiglie. Alcuni di questi agiscono subito, ma non dovrebbero essere presi a lungo, perché poi tendono a perdere di efficacia. Gli antidepressivi sono usati per curare le depressioni, ma si sono rivelati utili anche negli stati d’angoscia. È probabile che, in questi casi, siano prescritti più spesso che non gli ansiolitici. Gli antidepressivi, però, cominciano a dare risultati solo dopo alcune settimane, e quindi non subito. A volte provocano effetti collaterali, come mali di testa, nausea, o difficoltà di sonno. Perlopiù questi effetti collaterali sono facilmente tollerati, perché diminuiscono con il tempo, e possono essere ridotti se si comincia con dosi ridotte, da aumentare lentamente. Se si notano effetti collaterali, è necessario parlarne subito con il proprio medico.

È importante sapere che, per quanto gli antidepressivi siano sicuri, in determinati casi, richiedono attenzione se usati per bambini, adolescenti e giovani adulti. In particolare, siccome fanno aumentare l’attivazione, possono stimolare idee suicidali, nelle persone che le covano.

Chi prende antidepressivi dev’essere monitorato da vicino, specialmente all’inizio della cura.

Un altro tipo di farmaci, chiamato beta-inibitori, può contribuire a diminuire l’intensità dei sintomi fisici dell’ansia, come la sudorazione eccessiva, il tremore e l’accelerazione del battito cardiaco.

I gruppi di auto-aiuto

solidarietà e aiuto

I gruppi di persone che soffrono di attacchi di panico sono molto utili: accelerano il lavoro terapeutico, creano legami tra persone che hanno problemi in comune, e chi va avanti verso la guarigione diventa uno stimolo per chi lo segue su questa strada. 

Si è dimostrato molto utile coinvolgere in questa attività di gruppo anche i familiari interessati ad un beneficio terapeutico